Un anno in pandemia

4 Marzo 2021 38 Di Redazione
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Ritorniamo esattamente ad un anno fa, al giorno in cui viene emanato il DPCM del 4 marzo del 2020 con cui si stabiliscono le misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

È l’inizio di una nuova fase storica che segna un cambio di rotta nello stile di vivere ma anche di pensare, di immaginare, di vedere il futuro.

Nessuno era consapevole di ciò che significasse trovarsi a vivere in tempo di pandemia,  eppure vi era l’insensata e ingiustificata certezza che tutto si sarebbe risolto in breve tempo, secondo lo stile tipico della società contemporanea  improntata sul dinamismo, la velocità e governata dal principio del  fast e dell’easy.

Ma questa certezza presto sarebbe crollata, la pandemia porta un messaggio scomodo: l’uomo non ha il dominio sulla natura. È una verità talmente inaccettabile che qualcuno  giunge a negare la pandemia, ad  attribuirne la paternità a poteri occulti che da paesi lontani e in fantasiosi laboratori, hanno giocato  a produrre e mettere in circolo virus intelligenti creati per colpire questa o quella economia. E poiché l’economia mondiale ha subito un arresto, allora vuol dire che il controllo del virus è sfuggito di mano.  L’uomo contemporaneo, ebbro di onnipotenza, non riesce ad accettare l’idea di non essere superiore alla natura e di non poterla governare, così regredisce ad un pensiero magico, tipico dell’uomo primitivo, e trova spiegazioni illusorie che lo conducono a dare colpe e responsabilità a fantomatici nemici.

Cosa vuol dire vivere in tempo di pandemia? Ci rivolgiamo alla storia, guardiamo il passato per capire come e quando l’uomo ha vissuto un tale fenomeno. I più anziani ricordano la spagnola, ne hanno memoria dai racconti tramandati, i più giovani trovano analogie con la peste studiata sui libri di scuola, o dalla narrazione manzoniana dei Promessi sposi e non si persuadono che un fatto del genere possa ripetersi nell’era contemporanea.

Fra le misure di contenimento della pandemia elencate dal DPCM è inclusa la chiusura delle scuole su tutto il territorio nazionale.

Ammettiamolo sembrava davvero vantaggioso poter godere di un inaspettato periodo di vacanza…e invece no, non si tratta di vacanza è stata avviata la DAD, ma va bene ugualmente: finalmente è possibile stare connessi lecitamente. Sembra un gioco divertente la DAD. Ma ben presto si capirà che la serietà dell’emergenza sanitaria è più grave di quanto si potesse immaginare. Il DPCM  parla di chiusura delle scuole fino al 15 marzo, e invece i tempi si allungano, arriva un altro decreto e le scuole rimangono chiuse perché il Covid-19 è una virus da cui è possibile difendersi solo riducendo ogni occasione di contatto. Il virus, spesso indicato come il nemico invisibile, è in circolazione dal 2019, come ricorda il suo nome,  in Italia se ne è avuta  notizia solo a fine dicembre e lo si era considerato un virus lontano dal continente europeo. Invece il 20 febbraio 2020 si scopre il malato italiano numero 1, ma presto si saprà che il Coronavirus era già arrivato  in Italia, silenziosamente.

Proviamo a raccontare questo primo anno di pandemia attraverso alcune parole-chiave.

La prima parola-chiave è cambiamento. La quotidianità, con le sue consuetudini,  ha subito un grande cambiamento, basti pensare al modo di frequentare la scuola, di svolgere i compiti, di lavorare, di fare la spesa, di incontrarsi. Sono cambiati anche gli spazi delle abitazioni, sono stati trovati nuovi angoli di casa destinati  ai collegamenti con le lezioni per gli studenti o con gli uffici per il lavoro svolto da casa dagli adulti, spazi dedicati  alle attività ricreative o ginniche per gli sportivi.

 La seconda parola-chiave è lockdown.  Fra i  neologismi rimane il più famoso, indica una “messa in sicurezza”, che nella pratica si traduce con la chiusura forzata in casa per contenere la diffusione del contagio. Un neologismo che ha portato con sé una scia di altri termini, già in uso ma certamente meno popolari, come  smart working, classroom, Google Meet, flash mob, DAD e altri ancora.

La terza parola-chiave è creatività. Durante la chiusura forzata in casa si è sviluppata anche una certa dose di creatività per rispondere alle nuove esigenze, si è reso necessario aguzzare l’ingegno per ideare nuove strategie di adattamento e di risoluzione dei nuovi bisogni.  Si è assistito ad un riscoperta della quotidianità che si è rivestita di un nuovo valore: qualcuno ha ritrovato il piacere di trascorrere più tempo in compagnia dei propri familiari; di riprendere quei vecchi giochi di società  da fare insieme e occupare così il tempo dilatato del fine settimana;  qualcun altro ha indossato il grembiule per riscoprire il bello della cucina e il buono della tavola; chi ha ripreso vecchi hobby o ne ha inventati di nuovi.  

La quarta parola-chiave è  tecnologia. Bisogna riconoscere che tutto il settore della tecnologia  ha vissuto il suo momento di gloria: anche i meno giovani e gli anziani  finalmente hanno abbattuto gli ultimi baluardi di resistenza convertendosi all’uso degli innovativi dispositivi tecnologici al fine di rimanere in contatto con i propri cari. Un tripudio di videochiamate e di videoconferenze da ogni tipo di dispositivo: smartphone, tablet, PC. Forse questo è uno dei pochi effetti positivi della pandemia, ovvero l’aver determinato un’accelerazione dei processi di innovazione comunicativa nell’ambito della comunicazione formale (ambito istituzionale ovvero la scuola, il mondo del lavoro, delle associazioni, della religione) ed informale (ambito familiare, amicale e sociale).

La quinta parola chiave è rinuncia. La pandemia ha imposto e continua a imporre anche molte rinunce ai bambini, ai ragazzi, agli adulti, agli anziani, a tutti. Qualcosa è stato perso in termini di opportunità, occasioni e forse qualcosa è stato anche recuperato o guadagnato.

E voi cosa ne pensate? Quali sono le vostre parole-chiave?