Intervista al Dirigente scolastico prof. Vincenzo Pappalardo

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Quale istituto ha frequentato e qual era il suo rapporto con la scuola?

Penso che mi chiediate della scuola superiore: ho frequentato il Liceo Classico del  Collegio Capizzi di Bronte, forse la più antica scuola pubblica siciliana, fondata nel 1774 dopo la cacciata dei gesuiti dall’isola. Quando ci sono entrato io, nel 1978, la scuola era stata da poco statalizzata e i professori erano in gran parte provenienti dal vecchio collegio privato; era un ambiente severo, paludato, distante, con il quale quella generazione di studenti anni ’70 andava spesso allo scontro. C’erano però ancora ragazzi che stavano in convitto, e mi è rimasta la nostalgia di una scuola che riusciva ad occupare l’intera giornata degli studenti e di molti insegnanti, con lo studio, lo sport, il cinema, le visite. E’ quel modello dei college inglesi de L’attimo fuggente e persino di Harry Potter. Io penso che noi italiani abbiamo liquidato troppo frettolosamente quel modello, lasciando i pomeriggi dei ragazzi nella solitudine dei rapporti virtuali del cellulare. E non è un caso che ora il ministero, posticciamente, cerchi di dare nuovamente fiato a quel mondo, chiedendo alle scuole di restare aperte anche nelle ore pomeridiane.

Nella scuola che frequentava si presentavano le stesse problematiche della scuola di oggi?

Se penso alle strutture, mi vengono in mente associazioni col Vittorini. Il riscaldamento, per esempio, che allora mancava a Bronte; ma noi eravamo abituati a sopportare il freddo e non ci pensavamo nemmeno mentre incontrare questi problemi oggi indigna un po’, perché fa pensare a tante responsabilità di trascuratezza e mala gestione delle politiche scolastiche degli ultimi anni. L e stesse considerazioni mi vengono pensando alle dotazioni tecnologiche: in quei tempi erano inesistenti e le lezioni si sviluppavano noiosamente seguendo metodi tradizionali; oggi invece, con gli studi pedagogici che ribadiscono a chiare lettere i vantaggi dei metodi laboratoriali, e con i programmi europei che da decenni finanziano la dotazione tecnologica delle scuole, fa un po’ specie notare sedi paurosamente povere di strumentazioni tecnologiche essenziali e laboratori che, pur esistenti, restano largamente sottoutilizzati. Io penso che la qualità degli apprendimenti possa restare gravemente danneggiata da metodiche di insegnamento obsolete, che le verifiche sperimentali della scienza pedagogica da tempo denunciano come inefficaci.

Se penso invece ai rapporti tra le persone che stanno a scuola, vedo grandi differenze. Io ho vissuto la scuola degli anni ’70 e primi anni ’80: erano tempi di rottura, di cambiamenti traumatici. Avevamo l’eredità del ’68 e abbiamo vissuto la “pantera” del ’77. Come ho detto, io ho vissuto la realtà di una scuola che ancora si radicava nella tradizione di un prestigioso collegio d’élite del Sette Ottocento, che non aveva ancora rinunziato, nel bene e nel male, all’atmosfera di severità e direi sacralità dello studio e della formazione; perciò l’incontro col mondo giovanile era critico e conosceva anche episodi di scontro esasperato. Non tutto era oro colato, però questo creava anche tanta serietà, voglia di capire e di esserci, di definire lo spazio dei diritti e i binari di un rapporto autentico con gli adulti. Da insegnante, per molti anni, non ho visto la stessa voglia di partecipazione dei ragazzi, o almeno non ho visto la stessa severità verso se stessi nella partecipazione. Eppure i tempi di crisi richiederebbero un’attenzione sensibilissima a quanto succede nel mondo. Faccio un esempio: qualche giorno fa la scuola ha incontrato l’assessore regionale alla Pubblica Istruzione. Naturalmente, casino indescrivibile! Eppure, a un certo punto, si è parlato di alcune novità legislative che finalmente sbloccano borse di studio, facilitazioni per i ragazzi siciliani impegnati negli studi universitari: un argomento di immediato interesse per i ragazzi che stavano in aula, e che pensavo avrebbe creato il silenzio e le orecchie spalancate. Niente! Ora io capisco che gli adulti hanno grandi responsabilità nei confronti dei giovani di questa generazione, e che tante volte meritano l’indifferenza del mondo giovanile; ma l’indifferenza è banalità. Io penso che questa generazione debba riconquistare la serietà dell’ascolto dell’altro; e anche della contestazione determinata, se ciò che si ascolta non convince. Ma anche l’umiltà di prestare attenzione a ciò che si dice e di capire se c’è qualcosa di buono che finalmente debba essere colto.

Altrimenti tutto finisce nei riti balordi di qualche occupazione e di qualche manifestazione di piazza in periodi prestabiliti dell’anno.

3) quali sono stati i suoi maestri e i suoi punti di riferimento

Due figure di insegnanti, paradossalmente due preti anche se di orientamento opposto. Dico per paradosso perché se alla fine queste esperienze mi hanno lasciato un’idea raffinata del cristianesimo e il fascino irresistibile degli aspetti spirituali della cultura, hanno però anche sedimentato un convincimento profondamente laico.

Certo, io ho avuto la fortuna di avere come maestri due insegnanti che sono stati anche figure di assoluto spicco della cultura italiana degli ultimi decenni.

 Don Ciccio Ventorino è stato il mio professore di filosofia al liceo; a volte capita che le scelte decisive  della vita vengano da incontri che ti trascinano. Così è stato per me. Devo a lui l’amore per la filosofia e il fascino per quella misteriosa alchimia che si crea nel rapporto tra il magister e il discipulus.

Diceva delle cose che, d’istinto, non sempre mi piacevano ma era impossibile non innamorarsi di quel mondo fantastico di ragionamenti stringenti che riusciva a creare. Con don Giussani era stato il fondatore di Comunione e Liberazione e per trent’anni aveva insegnato Metafisica negli studi teologici, pubblicando volumi che sono stati punto di riferimento per quanti in Italia restano legati ad una concezione forte della Verità. Voleva che andassi a studiare alla Cattolica e mi aveva trovato anche un appartamento a Milano; perciò rimase deluso quando scelsi di restare a Catania.

 Vedete, poco fa ho detto di tutti i limiti delle lezioni frontali, però non sempre questi limiti valgono. Ci sono insegnanti che sanno usare in maniera meravigliosa la parola, riuscendo a lasciare non solo informazioni ma anche entusiasmo e passione; non è però un dono universale, e quei pochi che lo vantano, diventano maestri. Ciccio  Ventorino è morto l’anno scorso, e Il Foglio di Giuliano Ferrara gli dedicò tutta una prima pagina, individuandolo come riferimento di quel cattolicesimo conservatore in cui si è riconosciuta una larga fetta di italiani negli anni di Wojtila e della fine della Democrazia Cristiana.

Negli anni dell’Università ho invece incontrato Roberto Osculati, un milanesaccio che insegnava Storia del Cristianesimo. C’ho messo anni a capire che, dietro l’impeccabile eleganza lombarda, si nascondeva un prete critico, cresciuto a Nietzsche e Bonhoeffer, affascinato dal protestantesimo pietista e dalla demitizzazione di Bultmann. Lui mi ha insegnato molte delle cose che ancora oggi girano nella mia testa, la passione irresistibile per le culture tedesca e russa, il piacere della ricerca scientifica e il rigore delle sue regole, la difficile tecnica dello scrivere libri e la profondità filosofica insospettabile della grande letteratura. Roberto Osculati è stato un grande maestro, resto legato a lui da un sentimento profondo di gratitudine e amicizia. Ora, andato in pensione, è tornato nella nebbia della sua Monza; in primavera lo riporteremo al sole siciliano, invitandolo a Lentini per i cinquecento anni della Riforma.

Ci sono poi i maestri che incontri nella lettura, e questi segnano fasi particolari della nostra vita. Se dovessi pensare ai pensatori che più hanno influenzato la mia formazione penso al Kant della Ragion Pratica, a Nietzsche e all’esistenzialismo di Heidegger.  Ma c’è stato un periodo in cui divorato tanta letteratura, i russi soprattutto, Tolstoj e Dostevskij; e poi Garcia Marquez, Kafka, Bulgakov. Negli ultimi anni ho letto moltissimo del portoghese Saramago e del turco Pamuk, due straordinari maestri contemporanei.

Quali sono i suoi interessi?

Ho detto che mi piace leggere e più ancora ricercare e scrivere. Purtroppo da quando faccio questo lavoro non riesco ad avere più tempo, e mi manca il brivido che ti prende quando riesci a mettere giù una pagina di cose intelligenti, che riescono a riempirsi appieno della tua personalità e del tuo mondo.

Se invece chiedete delle mie passioni, sono attratto da tutto ciò che è spiritualità ed Oriente -resto incantato davanti alla televisione o al computer se becco immagini di  monasteri tibetani o di caravanserragli lungo la via della seta, e non riesco a non comprare un libro che mi porti in quel mondo -; sono attratto dall’alta montagna, con i suoi silenzi, i suoi freddi apparentemente senza vita e i suoi colori estremi; e infine sono attratto come un bambino da tutto ciò a che fare con l’Egitto, così che continuo ad andarci tutte le volte che posso (sempre negli stessi posti, mi viene rimproverato!), e a collezionare un’ infinità di libri, dvd, papiri e cianfrusaglierie varie.

Nei suoi anni di insegnamento e di dirigenza che rapporto ha avuto con i ragazzi? Crede nei giovani?

Ottimo! Quando scelsi di fare questo mestiere ero affascinato dai professori che vedevo nel mio collegio, alcuni dei quali passavano ancora giornate intere con i ragazzi e i convittori interni. Ho sempre pensato che la scuola consenta il privilegio enorme di avere a che fare con le cose più belle della vita, l’entusiasmo e la vitalità dei giovani e poi  la cultura, l’arte, la scienza. So che molti insegnanti hanno perso questa consapevolezza e questo spiega un bel po’ la crisi della scuola; però io, per esempio, non avrei mai potuto fare il medico, passando la vita in compagnia della malattia e della morte. Da preside purtroppo, il tempo da dedicare ai ragazzi diminuisce, e questo per uno come me non è solo un rammarico ma una sofferenza. Perciò utilizzo le attività culturali, le conferenze, le visite per tornare a passare un po’ di tempo con voi e magari tornare a parlare di storia, di letteratura.

Nei giovani bisogna credere, perché la storia va avanti con le nuove generazioni. Devo dire però di essere un po’ preoccupato: il flusso di progresso che ha caratterizzato con un moto proprio la modernità dell’occidente sembra essersi interrotto e i nostri ragazzi rischiano un mondo ostile, dove anche l ‘aiuto dei genitori pian piano verrà meno. Da qualche periodo non ho più il polso quotidiano dei ragazzi; negli ultimi anni in cui ho insegnato, non vedevo però grande consapevolezza del problema, né la voglia di sbracciarsi e combattere per se stessi che in questi tempi ci vorrebbe. Vedevo purtroppo ancora i postumi dell’esangue svilimento dell’intelligenza che ha caratterizzato  l’ultimo ventennio televisivo dell’Italia. Spero che qualcosa cominci a cambiare.

 Anche per questo insisto sulla faccenda del contributo e ho aperto la strada dell’autofinanziamento per l’acquisto dei climatizzatori. Vedo in questo non solo la possibilità di risolvere in maniera concreta difficoltà che altrimenti non avrebbero soluzione ma anche la positività educativa di instillare in voi ragazzi il convincimento che i problemi non si risolvono con miracoli che calano dall’alto, che bisogna cominciare ad adoperarsi spendendo in prima persona sforzo, sacrificio, comune solidarietà. Perché in caso contrario dovremmo rassegnarci a perdere benefici e servizi che, troppo banalmente, consideriamo naturali e dovuti.

Devo dire che, in una recente riunione avuta con i rappresentanti di classe del polivalente su questo problema, ho visto una sorprendente consapevolezza dei ragazzi e la determinazione ad intervenire. E’ una cosa che mi ha positivamente sorpreso. Immaginavo di trovare facce distratte e scettiche, tipiche dei ragazzi degli ultimi anni; e invece ho visto facce serie e determinate. Un gran bel segnale! Confortante.

Avrebbe mai pensato di dirigere una scuola? Come si sta trovando?

A dire il vero no. Quando finii gli studi universitari, per qualche anno sono rimasto all’università, a fare ricerca.  Cominciai ad insegnare a trent’anni, e per alcuni anni mi sono diviso tra la scuola e l’università. La carriera di dirigenza si è presentata per caso, con un concorso fatto per scommessa con se stessi. Certo, il preside fa un lavoro diverso, alle prese con l’amministrazione, la burocrazia; però è un lavoro che finalmente consente di costruire la scuola come per anni si è pensato debba essere, con le sue regole certo, ma anche con il suo stile di rapporti, con i suoi obiettivi di formazione, con le sue prospettive di cultura nel territorio, insomma con il modello di giovani entusiasti del piacere di vivere la propria età e di farlo accompagnandosi con le grandi idee, le grandi scoperte e la grande arte del genio umano. Che è una cosa che tutti dobbiamo imparare a considerare come l’impareggiabile fortuna che abbiamo avuto.

Lei trascorre molte ore a scuola. Riesce nonostante gli impegni di lavoro, a praticare degli hobby?

Domanda che mette il dito nella piaga! Questo è un lavoro che impegna per intero le giornate, e che non ti consente di tornare la sera a casa e a pensare ad altro. Devo dire che Lentini ha poi una sua complessità che non ho riscontrato nella precedente sede di Pachino, e che perciò impegna molte energie. Mi accorgo che da quando faccio questo lavoro riesco a leggere molto meno, e questo mi rammarica perché capisco che è una cosa che mi impoverisce. L’hobby che mi ha sempre rilassato è stata la montagna, le passeggiate nei sentieri lontani dalla folla. Dalle mie parti, ce ne sono di bellissimi sull’Etna e soprattutto sui Nebrodi. Fino a qualche anno fa passavo così i giorni liberi, zaino in spalla e scarponi. Oggi le passeggiate sono diventate un lusso: i giorni liberi, quando ci sono, passano a sbrigare le tante faccende familiari che nel frattempo si sono accumulate; e a smaltire la stanchezza. Ciononostante resto un gran camminatore e, in primavera, farò in modo di coinvolgere anche voi, ragazzi lentinesi più abituati al mare e alla campagna, in passeggiate educative che vi familiarizzino con il mondo della montagna e le sue bellezze.

Alcune famiglie hanno dimostrato diffidenza nei confronti del contributo scolastico da versare a scuola. Secondo lei da cosa scaturisce?

Devo dire che questa per me è stata una sgradevole sorpresa. Il contributo scolastico è uno strumento consentito dalla legge nelle scuole superiori – che non godono del principio di assoluta gratuità previsto per le scuole dell’obbligo – allo scopo di finanziare alcune attività complementari, che tuttavia costituiscono un arricchimento essenziale della formazione degli studenti. In tutte le realtà che conosco, nella Sicilia Orientale, il contributo ha una consistenza assai maggiore rispetto a quella richiesta a Lentini e viene versato con fiducia dalle famiglie. A Lentini ho scoperto grande diffidenza e non conoscenza delle voci di spesa finanziate con quel contributo. E questo mi ha costretto a un precipitoso tentativo di recupero, che magari qualche volta ha creato frizione con alcuni genitori.

Io non credo che le famiglie informate e consapevoli abbiano difficoltà ad investire trenta, o anche quaranta, cinquanta euro l’anno nella formazione dei figli.  C’è evidentemente da ricostruire un rapporto di fiducia, fatto di assoluta trasparenza delle finalità e di rendicontazione delle spese effettuate. Sarà un lavoro forse lungo ma indispensabile, perché credo che gli studenti del Vittorini abbiano il diritto di avere la medesima ricchezza di formazione dei compagni delle altre scuole siciliane e italiane.

 

Quali modifiche vorrebbe attuare per migliorare il sistema scolastico? Qual è la sua scuola ideale?

Il sistema scolastico, soprattutto nella sua fascia superiore, ha bisogno di tornare ad essere credibile per alunni e famiglie. Per decenni, mentre il mondo correva ed entrava nella terza e quarta rivoluzione industriale, la scuola è rimasta immobile, ripetendo stancamente i suoi riti; finendo con l’apparire agli occhi degli studenti, e purtroppo anche di molte famiglie, un purgatorio di sofferenze inutili, da attraversare pazientemente in  attesa degli studi universitari e del lavoro, dove finalmente era dato accedere alle cose “utili” della vita (che me ne faccio, a che mi serve? sono domande frequenti di chi studia). Credo che in questo abbia pesato anche il retaggio idealista e cattolico dell’Italia del ‘900, con l’inclinazione a spostare eccessivamente il focus sugli aspetti immateriali, etici ed estetici, del sapere. In realtà ormai da vent’anni, con la legge sull’autonomia, il ministero ha dato alle singole scuole la possibilità di intervenire nella concretezza delle situazioni reali, e di colmare lo iato sempre più evidente tra il sistema scolastica e il bisogno educativo delle nuove generazioni. Diciamoci la verità: la scuola italiana ha fatto largamente finta di non capire, lasciandosi scivolare addosso la richiesta di cambiamento con decadente pigrizia, salvo poi piagnucolare per la perdita di credibilità sociale del sistema e delle persone che ci lavorano.

La legge 107 ha dato una brusca scossa. Il lavoro per competenze, l’attenzione alle ricadute lavorative degli apprendimenti, la didattica laboratoriale, la spinta alle certificazioni, l’introduzione del curriculum dello studente, le discipline opzionali che rispondono a bisogni sinora inascoltati sono stimoli da cogliere appieno per restituire alla scuola il ruolo imprescindibile di formazione per cui esiste.

E’ mio intendimento sfruttare ogni piega delle opportunità che la legge ci consente, costruendo pian piano nei ragazzi la consapevolezza dell’importanza e dell’utilità delle cose che si fanno. Certo al Vittorini il compito non è facile: la dotazione della scuola è stupefacentemente carente, e i laboratori che ci sono restano largamente sottoutilizzati. Sono problemi da risolvere rapidamente, con l’utilizzo dei fondi europei e con la sollecitazione ai docenti ad avvalersi con maggiore costanza degli strumenti della scuola e delle metodologie di insegnamento più avanzate. Un diritto degli studenti, che gli studenti devono imparare a difendere con forza.

Questa è la scuola che mi piacerebbe vedere: come nei college anglosassoni, non luoghi dai quali non si vede l’ora di fuggire ma luoghi nei quali i ragazzi chiedano di restare per tutta la giornata, perché là possono realizzare le loro passioni, fare sport, ricerca, studiare, fare musica, teatro, cinema, laboratori. Con la coscienza che solo la scuola può mettere assieme tutte queste splendide opportunità che fanno bella la vita.

Che tipo di rapporto vorrebbe avere con gli alunni, gli insegnanti e i collaboratori scolastici?

Un rapporto amichevole e cordiale, naturalmente. Ricordo sempre l’apologo di Menenio Agrippa che ci ricorda come nessun organismo funziona se le singole parti non cooperano insieme  per l’unico fine. Ma aldilà di questo, penso che la scuola sia l’ambiente in cui personale e studenti trascorrono buona parte della vita, ed è indispensabile che la qualità delle nostre giornate sia alta, gradevole, crei benessere e voglia di starci; non solo perché così il funzionamento del sistema è più garantito ma perché c’è un valore assoluto dell’essere umano di vivere con serenità e gratificazione il suo tempo e il suo lavoro. Certo perché ciò succeda è necessario darsi e rispettare alcune regole; e il ruolo del preside è ricordarle e vegliare perché vengano applicate. E capisco come questo ruolo possa a volte renderlo antipatico. Dato questo fondamento però, la scuola che voglio è una comunità serena, dove ciascuno possa trovare il proprio spazio, rivendicare il diritto ad esser capito e a fare ciò che di buono il proprio genio accorda, regalando a tutti la bellezza e la soddisfazione di vivere esperienze irripetibili.

Io sono però convinto che il benessere dipenda anche dal contesto in cui si vive: ci sarà una ragione per cui i giovani che vivono a Scampia sperimentano un disagio maggiore rispetto a quelli che vivono in una città scandinava. La cura dei locali scolastici mi dà molta preoccupazione: ho visto bagni nelle tre sedi da non dormirci la notte. Non vi si può chiedere di crescere civili e rispettosi del bene pubblico, addirittura amanti della bellezza, se poi vi si manda in bagni tanto squallidi e degradati. Non c’è dubbio che bisogna concentrare le poche risorse che man mano avremo per restituire dignità ai nostri locali; contemporaneamente cureremo  anche la gradevolezza degli ambienti, che devono essere puliti, profumati, con spazi verdi, salottini in cui sedersi e discutere, i corridoi resi allegri dalle facce allegre e colorate dei ragazzi. Ci vorranno un paio d’anni ma ce la faremo.

Che cosa intende introdurre dal punto di vista tecnologico per potenziare l’apprendimento generale e per quello delle lingue straniere?

Ho già detto come le metodologie laboratoriali abbiano da tempo mandato in soffitta le vecchie lezioni frontali fatte in aula con la lavagna. Naturalmente la dotazione di LIM è essenziale e i ritardi maturati dalla scuola devono essere colmati rapidissimamente. Però ormai è persino anacronistico parlare di laboratori.

La frontiera delle classi 2.0 è ormai raggiunta e gli imminenti bandi PON devono essere con decisione indirizzati verso questo obiettivo. Tra pochi anni le classi lavoreranno quasi esclusivamente sui supporti informatici e ciascun alunno sarà a scuola con il suo tablet. Il Vittorini non resterà indietro in questo percorso. Certo, ci sarà anche un problema enorme di formazione dei docenti alle nuove metodologie ma in questa scuola sto conoscendo professori di grande livello, di intelligenza acuta e duttile, disposti a scommettersi nel cammino di aggiornamento che i tempi ci impongono.

Quanto alle certificazioni linguistiche e anche informatiche non è più tempo di scherzare. Il mondo non chiede più conoscenza delle lingue e del computer ma competenze certificate. E da quest’anno gli studenti dovranno compilare il Curriculum Vitae nel quale verranno registrate le competenze disciplinari raggiunte a scuola, ma anche le attività di alternanza scuola lavoro, le discipline opzionali frequentate, le certificazioni di lingua ed ECDL raggiunte. Per questo abbiamo tanto insistito sulla necessità di introdurre il lettore madrelingua nelle classi, che avrà il compito di curare in maniera specifica l’esame di certificazione. E per questo, a partire dal pentamestre, un docente di potenziamento inizierà la preparazione per gli studenti che vorranno conseguire la patente informatica.

Alcuni alunni sentono il bisogno di uno psicologo a scuola. Potrebbe essere stabilmente presente nella nostra scuola questa figura?

la figura dello psicologo e la consulenza di uno sportello CIC è necessaria nelle scuole superiori.

Ho già dato mandato ai referenti alla Salute di verificare la disponibilità dell’ASL locale per un servizio settimanale nelle sedi della scuola. Nel caso in cui non fosse possibile usufruire di una figura dell’ASL, verificheremo la disponibilità delle associazioni di volontariato locale. Speriamo di trovare in questa maniera figure disposte a rendere questo servizio alla scuola. In ultima istanza, resterebbe la possibilità di un professionista pagato dalla scuola; ma qui entreremmo nel campo minato degli esperti esterni pagabili solo col contributo degli alunni e dovremmo di nuovo dire che col contributo esiguo di trenta euro, che per giunta molti non pagano, la scuola non può fare fronte a tante legittime richieste che pure  vengono da alunni e famiglie.

Come ha intenzione di risolvere il problema dei riscaldamenti?

Diciamo la verità, il problema dei riscaldamenti non è al momento risolvibile con i fondi della scuola. L’impianto di riscaldamento a gasolio del polivalente presenta dei guasti strutturali che abbisognerebbero di interventi dai costi onerosi. Lo stesso si può dire della sede di Francofonte. Stiamo pagando in maniera pesante l’irresponsabilità politica di chi ha frettolosamente chiuso l’ente provinciale, cui era demandata la manutenzione delle scuole superiori, senza individuare altri enti cui spostare l’amministrazione dei fondi. Senza dire che ormai la Provincia di Siracusa rifiuta persino il pagamento del gasolio. Perciò l’unica via percorribile sta nell’installazione di climatizzatori, che avrebbero anche il beneficio di rinfrescare le aule nei caldi mesi primaverili; ma non è una soluzione facile.  Date le condizioni, la scuola ha tre strade: o distrarre qualche economia dai fondi di funzionamento statali, comprando un paio di climatizzatori l’anno, ma sarebbe un cammino lungo un decennio; o cercare qualche sponsor che intervenga con atti di munificenza a scuola, ma considerato il territorio e il periodo di crisi anche questo appare un percorso impervio e lungo; o, infine, chiedere ad alunni e famiglie di farsi carico della situazione, con piccole contribuzioni di solidarietà che mettano in condizione di risolvere rapidamente il problema.

 E’ la strada che stiamo percorrendo; e vedo dei segnali che mi danno fiducia.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’attuale scuola italiana?

Mi verrebbe da dire che il vero vantaggio della scuola italiana è di partecipare alle politiche dell’Unione Europea; questo ci costringe ogni tanto a scrollarci dal torpore e ad andare avanti. A volte mi viene da pensare alla nostra scuola come alla Sicilia raccontata dal principe di Lampedusa: una vecchia centenaria sulla sedia e rotelle portata all’Esposizione Universale, che di tutto sembra interessarsi e accendersi ma che alla fine vuole solo dormire. I vantaggi della scuola italiana sono il riflesso degli svantaggi. Siamo un paese troppo vecchio, con troppa tradizione e troppa cultura. Ciò che per altri è faticosa acquisizione per noi è quotidianità. Passeggiamo tra le pietre di Siracusa e Leontinoi e respiriamo l’armonia della classicità, facciamo fotografie per le vie di Noto e Ortigia sfruttando con naturalezza le scenografie del barocco, ci perdiamo nelle sofisticherie di tante discussioni senza sapere di ripetere il Gorgia di cui andiamo tanto fieri, entriamo nelle pagine della poesia italiana sapendo che senza il nostro Jacopo non ci sarebbe stata.

E’ questo il terreno su cui si muove la scuola in Italia,  troppo immersa nella cultura e nella tradizione più alta per non illudersi tante volte che il sapere non è dato, non è ripetere gli stessi riti, non è conservare ciò che abbiamo ereditato ma è cercare vie nuove, sperimentare, popperianamente falsificare ciò in cui crediamo, smontando per metodo ciò che abbiamo alla ricerca di equilibri sempre nuovi e sempre da ridiscutere.

Per concludere, le chiediamo quale augurio si sente di rivolgere a tutto il personale e agli alunni della scuola?

Io voglio augurare a ciascuno si trovi a vivere il Vittorini, perché vi studia o perche vi lavora, di trovare  un ambiente che spalanchi la propria via, di cittadino pienamente protagonista della società che c’è e che sarà da venire, e di essere umano, con il suo diritto alla felicità e alla piena realizzazione dei suoi talenti.

Grazie

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