Lia Levi, «Questa sera è già domani è un romanzo di formazione»

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E’ stata proprio lei, Lia Levi, celebre scrittrice e giornalista italiana, a definire così il suo ultimo libro, vincitore del Premio Strega giovani 2018, durante l’incontro con gli studenti del liceo “Vittorini” di Lentini, avvenuto l’8 Marzo scorso nell’auditorium dello stesso Istituto. L’evento, inserito nel progetto “Libriamoci” ed organizzato dalla professoressa Rossana Vasta, è stato per gli studenti un’occasione imperdibile per rivolgere all’autrice numerose domande sul testo, che affronta con particolare tensione narrativa i temi ancora brucianti di un tragico passato.

Signora Levi, cosa significa per lei ricordare quel periodo, dato che l’ha vissuto in prima persona?

«Io quest’esperienza l’ho vissuta da bambina e posso ricordarne l’atmosfera, le emozioni, il modo in cui vedevo il mondo girare in torno a me, piuttosto che i fatti storici, che ho vissuto non comprendendoli nell’immediato. Un ricordo che però mi è rimasto impresso è il sentire un’atmosfera angosciante in famiglia, di cui non avevo capito l’origine e per questo non sapevo di cosa avrei dovuto aver paura. Ciò mi ha dato un senso di precarietà e di insicurezza fino all’occupazione tedesca in Italia, per cui si aveva la consapevolezza di dover scappare poiché stava per iniziare una vera e propria “caccia all’ebreo”, durante la quale mi hanno nascosta insieme alle mie sorelle in un convento e -fingendomi cattolica- mi sono salvata».

È trascorso del tempo prima che lei riuscisse a raccontare il suo passato?

«Quando Roma è stata liberata sono tornata alla scuola pubblica, in terza media. Nessuno sapeva cosa fosse veramente successo e nessuno ne parlava. I pochi sopravvissuti tornarono dopo anni e non raccontarono nulla perché la gente non voleva ascoltare, oppure -se raccontarono qualcosa- si pensava fossero andati fuori di testa a causa della sofferenza e non vennero creduti. La verità perciò l’ho appresa man mano che sono uscite le prime testimonianze, i primi libri come ad esempio il diario di Anna Frank, … Il dolore a quel punto è stato così forte che mi sono sentita in colpa per essere ancora lì, viva, mentre la mia compagna di classe, come molti altri, era morta e per questo all’inizio quasi mi vergognavo di raccontare la mia storia».

“Questa sera è già domani” si ispira alla vicenda personale di suo marito Luciano, di cui c’è una bella foto in copertina; quando è nata l’idea di scrivere questo romanzo?

«L’idea era nata già molti anni prima della sua effettiva stesura. Mio marito, infatti, queste sue “avventure” le raccontava in famiglia ed era una storia talmente romanzesca che io gli chiedevo perché non la scrivesse, ma occupandosi di un altro genere, mi diede il consenso di poterlo fare per lui. Così dopo un paio di anni dalla sua morte, ho trovato la forza e mi sono decisa a scrivere il libro».

Sappiamo che Alessandro rappresenta un “alter ego” di suo marito, possiamo pensare che anche il resto dei personaggi siano ispirati ad altri membri della sua famiglia? Quanto c’è di vero e quanto di finzione letteraria all’interno del testo?

«Sì, alcuni personaggi sono ispirati a fatti reali, ma sulla base di poche parole e in linea generale, mentre il resto del testo l’ho creato io. Alessandro (Luciano) lo conoscevo bene, perciò il suo carattere, il suo modo di reagire alle cose ingiuste della vita sono più veritieri; anche i suoi genitori e gli zii più o meno rispettano le caratteristiche reali, mentre altri personaggi sono quasi del tutto inventati anche se su spunto vero, come la ragazza austriaca e il cugino che nella storia procura alla famiglia i documenti falsi».

Secondo la sua esperienza le leggi razziali e quanto accaduto durante la seconda guerra mondiale sono una contingenza storica o è la natura dell’uomo che di per sé è cattiva?

«Le persecuzioni contro gli ebrei sono storiche, sempre seguendo il concetto di capro espiatorio della società, secondo il quale gli ebrei erano la causa di molte disgrazie come la peste. Il razzismo fa parte della natura malvagia dell’uomo ed è sempre esistito, la guerra non ha fatto altro che offrire il terreno adatto a sostenerlo, poiché Hitler, con il nazismo ha iniziato lo sterminio dalla sua nazione, la Germania, espandendolo poi anche in Austria, in Olanda e in altri paesi».

L’esperienza delle persecuzioni l’ha resa più impavida o le cattiverie umane la destabilizzano?

«Secondo me se sei sensibilizzato a un problema, entrambe le cose. Sei più timoroso perché riconosci i sintomi prima e inizi a temere che si ritorni a quei periodi terribili, ma -al contempo- sei più pronta a reagire, non solo politicamente, ma anche personalmente, dunque, la cosa che ho imparato da questa esperienza è che tutto si può provare, si può provare a reagire, a organizzarsi, a crearsi degli scudi di difesa e in questo senso allora sei meno impavida».

Lei, in un’intervista, ha detto che «scrivere significa rimuovere un tappo emotivo», quanto in questo romanzo si è sentita toccata emotivamente?

«Se non sei toccato da quello che scrivi sei un “mestierante”, perciò lo devi esser per forza. Naturalmente se scrivi delle note umoristiche sei toccato con leggerezza, se si scrivono storielle per i bambini, prevale il gioco. Pensa che quando studiavo all’Università, tra i vari lavori, avevo trovato quello di scrivere per i fotoromanzi e quando ho consegnato la mia storia all’editore, lui mi ha detto «Ecco, la sua va bene», mentre quando altri veri scrittori, più esperti di me, hanno consegnato le loro, lui ha gesticolato con la mano sinistra ed ho colto un segnale di disprezzo. Questo significa che la scrittura è così a tutti i livelli, devi crederci».

L’articolo 3 della Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” C’è stato un dibattito sul togliere o meno la parola razza dal testo. Lei è favorevole?

«Sono favorevole perché stona. Non stiamo facendo altro che dire che le razze non esistono, quindi gli scienziati hanno annullato del tutto questo termine. Sono però indulgente verso i padri fondatori che hanno fatto la Costituzione, poiché –probabilmente- in quel momento non erano pronti».

Secondo lei cos’è più nocivo l’oblio o l’indifferenza?

«L’indifferenza è il primo gradino che porta all’oblio, ovvero il non ricordare e/o il non sapere niente. Certamente queste due parole sono legate tra loro perché l’indifferenza aiuta e fa sì che quello che sai, che hai sentito o che hai visto, pian piano svanisca».

Nel suo libro possiamo vedere che i componenti della famiglia Rimon si sostengono fra loro, secondo lei è importante avere alle spalle una famiglia che ci sostenga o è dell’opinione che sia meglio affidarsi alle proprie capacità?

«Dipende dall’età. Se sei un bambino o un ragazzo è naturale che ti rapporti con la famiglia. Se invece sei adulto, non hai una famiglia e non hai la responsabilità di salvare gli altri, ti muovi meglio e hai più possibilità di salvezza».

Cosa dovrebbe fare ognuno di noi per evitare che un dramma così tragico, come il fascismo, si ripeta?

«Ognuno dovrebbe diventare un cittadino consapevole, come voi fate studiando, cioè creandovi una cultura. È importante, però, iniziare anche dalle piccole cose che vi stanno intorno, quali il bullismo che è una forma di razzismo. Come disegno più grande, invece, è importante conoscere i fatti e non fidarsi delle frasi che suonano bene e che prendono il posto del pensiero».

Il rapporto madre-figlio può essere considerato un punto cardine di tutto il romanzo?

«Sì certamente, perché il mio è un romanzo di formazione che avviene attraverso due settori: uno è quello dei condizionamenti che ti danno la persecuzione, la storia che incombe, il pericolo e come rapportarsi ad esso; l’altro è il conflitto che deve superare Alessandro in quel rapporto madre-figlio di sottile disprezzo, tanto è vero che nel finale le due lotte convergono».

Il suo libro ha vinto il Premio Strega giovani 2018, è stato votato da una giuria formata da ragazzi di età compresa tra i 16 e i 18 anni, ed ha riscosso un grande successo tra i giovani, se lo aspettava?

«No, non me lo aspettavo, quindi giustamente come tutte le cose che non ti aspetti mi ha fatto doppiamente piacere, perché è stata una sorpresa.»

Il titolo sembra preannunciare l’epilogo felice della vicenda, il preludio di una festa. È possibile cogliere in esso dei riferimenti al rito ebraico dello Shabbat?

«Sì, certamente.»

Nella parte finale del libro assistiamo al tentativo della famiglia del protagonista di scappare oltre il confine svizzero e poi il colpo di scena, quando la stella di David, cucita nel cappotto, si rivela la loro speranza e la loro salvezza. Possiamo pensare che in questa vicenda, che va oltre la realtà storica, è insito un grido d’identità?

«Ho inserito questa vicenda nel testo, non solo perché è vera, ma anche per parlare del mistero dell’esistenza umana. Un ragazzo ragionevole, non particolarmente religioso, con un piano di fuga basato su documenti falsi con un nome non ebraico, che si impunta a portare una medaglietta ebrea come segno di identificazione, è già qualcosa di innovativo; inoltre mi piace molto il fatto che il lettore possa pensare che è l’identificazione ad aver salvato i protagonisti.»

 Marco   Lacopo  3M, Liceo Linguistico Elio Vittorini

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